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Antonio Oleari

Writer & Photographer
    
Location: Milano
Nationality: Italian
Biography: Antonio Oleari  is a writer and photographer based in Milan. He studied literature and he was a radio speaker and music journalist. For years he has been involved in the international music scene: he has published essays, biographies and... MORE
Public Story
Il Dottor Stanley, nascosto nella mia valigia
Copyright Antonio Oleari 2024
Date of Work Mar 2019 - Mar 2019
Updated Mar 2019
Pubblicato per la prima volta su www.corriere.it il 15/02/2019
Illustrazione di Napal

Un mio vecchio sospetto è diventato realtà. Che i libri avessero un’energia capace di generare coincidenze e far accadere incontri lo immaginavo da tempo (è forse qualcosa di legato alle parole e al potere che hanno di dare forma a un mondo ancora prima di raccontarlo). A quanti – in un momento preciso della vita e per una congiuntura di eventi inspiegabile – è capitato di sentirsi prima chiamati, poi attirati da un libro che è stato capace di cambiare un’esistenza? Senza fare nulla, stando fermi in quell’esatto ripiano di una libreria, pagine e inchiostro e copertina hanno mosso pedine e disposto circostanze.

Mai però ho visto un libro congegnare un piano così accurato da farmi giungere alla conclusione che sì, alcuni libri hanno un’anima ed essa risponde a una sicura e quasi istintiva vocazione. Non so se questa sorta di spirito sia esattamente il loro o piuttosto quello dei loro autori, seminato sulla carta e pronto a germogliare quando il terreno è più fertile e le condizioni propizie, ma ne conosco gli effetti e quelli mi bastano.

Per accompagnarmi nell’attraversare da est a ovest la Tanzania, anni fa scelsi la lettura di un libro a tema: Come ho trovato Livingstone, dell’avventuriero e scrittore americano Henry Morton Stanley. In poco più di duecento pagine questo pioniere del giornalismo di viaggio racconta di come nel 1869 il direttore del New York Herald gli avesse dato l’incarico di trovare e intervistare il celebre esploratore scozzese David Livingstone, disperso nell’Africa equatoriale senza dare più notizie di sé da mesi. Mentre ripercorrevo il suo stesso itinerario (dalle coste dell’Oceano Indiano fino al lago Tanganica, al confine con il Congo), sdraiato sui sedili di un nuovo ma lentissimo treno di fabbricazione coreana, mi sono affezionato alla ferma determinazione di un ragazzo della mia età che sfidava febbri malariche e tribù inferocite per portare a termine la sua missione. Sono pagine scarne, lontane dal romanzo e assai più vicine al diario di bordo, di cui ho sottolineato pochissimo se non i nomi di villaggi, fiumi e monti che di volta in volta scorgevo fuori dal finestrino.

Ricordo di aver finito il libro proprio giunto al termine del lungo tragitto, nell’esatto punto (sotto un albero di mango) in cui un secolo e mezzo prima Stanley aveva ritrovato Livingstone, vincendo una scommessa per la quale era stato lontano da casa più di due anni e aveva rischiato la vita almeno un paio di volte. Il racconto di quell’incontro è storia nota.

Negli ultimi tre anni ho cercato quel volume dappertutto. Niente: sparito. Alla fine ho dovuto arrendermi a considerare più che legittima l’ipotesi che il libro avesse fatto in modo che io lo smarrissi proprio laggiù, a Ujiji, il minuscolo villaggio di pescatori dove sono ambientate le sue ultime pagine. È un segno – mi consolavo, un’emblematica coincidenza.

Ma il libro ha fatto di più. S’è fatto trovare solo poche settimane fa dentro un albergo di Bahir Dar, nel nord dell’Etiopia. Stavo per caricare la mia valigia nel bagagliaio della macchina quando ho notato una lieve sporgenza della sacca, lì dove una cerniera chiudeva una tasca mezza nascosta. Ne è uscito Stanley in tutte le sue, leggermente ingiallite, duecento pagine: un po’ ammaccato, gli angoli della copertina piegati, sembrava stare comunque bene. Incredulo, ho esultato come un bambino: senza che me ne fossi accorto quel libro mi aveva accompagnato in Iran, Ucraina, Sud Africa, Uzbekistan, Polonia, Togo, Croazia, viaggiando a bordo di navi, aerei, treni, autobus e tuk-tuk. Come un clandestino nascosto dentro il rimorchio di un tir, Stanley aveva sfruttato la mia valigia per dare sfogo al suo istinto di esploratore, aveva attraversato frontiere ed eluso controlli, osservato Paesi, deserti e oceani da una nuova prospettiva, finché il destino – o un calcolo scientifico – non lo aveva portato fin lì. Un puro caso? Nel 1866 Livingstone era partito per l’Africa alla ricerca delle sorgenti del fiume più lungo del mondo, trovando nel lago Vittoria quelle del Nilo Bianco; ora il suo compagno di avventure ricompariva sulle sponde del lago Tana, dalle cui acque nasce invece l’altra metà del fiume, il Nilo Azzurro. Una convergenza simmetrica e in qualche modo perfetta, mi sono detto mentre stringevo di nuovo fra le mani la pecorella smarrita della mia biblioteca.

Ora: questa storia si concluderebbe assai più poeticamente se io avessi abbandonato il libro sulle sponde del lago, tra ippopotami e pellicani, in quella terra africana da cui tutto era iniziato e in cui tutto sarebbe potuto circolarmente finire. Invece ha prevalso la mia mania di possesso e ora Stanley sconta una prigionia forzata sul penultimo ripiano della mia libreria. È possibile che alla prossima partenza si faccia trovare steso sul pavimento supplicandomi di portarlo con me, ma non ho intenzione di rischiare. Il massimo che potrò fare sarà spedirgli cartoline dal mondo: le usi come segnalibri e si metta il cuore in pace.
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