Luca Prestia

Historian and free-lance photographer based in Turin (Italy)
      
La montagna viva. Storie di cura, tutela e valorizzazione in 15 foto-ritratti di comunità
Location: Turin
Nationality: Italian
Biography: For some years I have been dealing with photographic projects related to the migratory phenomenon. I have visited some borders of Europe in search of traces of the testimonies of humanity passing through, in search of new life. For assignments,... MORE
Public Story
La montagna viva. Storie di cura, tutela e valorizzazione in 15 foto-ritratti di comunità
Copyright Luca Prestia and Unione Montana Valle Stura 2024
Date of Work May 2022 - Jun 2022
Updated Jun 2022
Location Cuneo
Topics Agriculture, Art, Community, Culture, Culture stories, Documentary, Editorial, Journalism, Mountains, Pastoralism, Personal Projects, Photography, Piedmont, Portrait, Reportage
Summary
La montagna viva è un progetto fotografico che ho realizzato su commissione dell'Ecomuseo della pastorizia di Pontebernardo (Cuneo) e della Unione montana Valle Stura nel maggio-giugno 2022. Le foto saranno esposte presso la sede dell'Ecomuseo a partire dal 2 luglio e fino al 31 dicembre 2022
«Sostenere quanti (‘restanti’, ‘ritornanti’, ‘nuovi abitanti’) restituiscono centralità alla montagna come luogo di vita e di produzione».
Questa frase, contenuta nel Manifesto di Camaldoli sulla centralità della montagna (2019), racchiude perfettamente il senso di quello che l’Ecomuseo della Pastorizia di Pontebernardo (Cuneo) ha cercato di realizzare insieme alla propria comunità attraverso gli scatti del fotografo cuneese Luca Prestia, contenuti nella mostra fotografica La montagna viva. Storie di cura, tutela e valorizzazione in 15 foto-ritratti di comunità: un progetto ampio, di respiro socio-antropologico, che ri-mette al centro le persone le quali, grazie al loro restare o ritornare, valorizzano e innovano la cultura locale attraverso progetti agricoli e pastorali che ci parlano di riscoperta, tutela, cura e valorizzazione della montagna. Una ricerca che parla di piccole produzioni locali che permettono il mantenimento delle tradizioni sociali e culturali, la custodia dei saperi e del patrimonio immateriale legati alla cultura millenaria del mondo rurale; che consentono di usufruire dei territori altrimenti non utilizzati, garantendo così la conservazione delle caratteristiche ecosistemiche e della biodiversità animale e vegetale, e assicurano il mantenimento delle connotazioni paesaggistiche che in caso di abbandono e degrado scomparirebbero. La montagna infatti richiede manutenzione e va riscoperta la cultura del limite. Sappiamo bene che il problema comune alle nostre montagne continua a essere lo spopolamento e l’abbandono delle terre, che non dipende solo da cause naturali, ma dal fatto che nel secolo scorso molte zone interne sono state impoverite da un modello di crescita che in assenza di politiche adeguate non offriva alternative all’esodo verso i poli urbani e industriali della pianura. Nemmeno la Valle Stura di Demonte (Cuneo), in cui è ambientato il progetto fotografico, è stata esclusa da queste dinamiche: nonostante ciò, negli ultimi tempi si è reso evidente un ritorno alla montagna, anche se tra innegabili difficoltà. Non si tratta ovviamente di grandi numeri, ma comunque sufficienti a mostrare la vita in ‘alta quota’ come un’alternativa praticabile e anche soddisfacente.
Quindici foto-ritratti di comunità quindi, quindici giovani abitanti della Valle Stura che hanno deciso di ‘metterci la faccia’, nel vero senso del termine, a dimostrazione del fatto che, contrariamente a quanto si possa pensare, la montagna è viva, in movimento: la montagna può essere vita. Nell'esposizione troveremo il volto di Marta, coraggiosa pastora di capre di Sambuco, che alla domanda «perché fai questo lavoro?» risponde «perché non vorrei fare null'altro!»; ci sarà quello di Alberto, che produce miele di montagna di alta qualità, certificato biologico; incontreremo il volto di Giulia, la mente di Germinale, la cooperativa agricola di comunità con la quale cerca di promuovere la biodiversità e di recuperare coltivazioni ormai in abbandono, di ridare all'agricoltura il ruolo di custode della montagna, sviluppandone una pulita, piccola e giusta. E poi troveremo Andrea, che in Valle Stura si è trasferito sei anni fa, insieme alla moglie Barbara e ai loro figli, e qui allevano bovini, praticano la transumanza e trasformano il latte in prodotti caseari che, come dice lui, «sono la sintesi tangibile di questo equilibrio tra uomo, animali e territorio»; ci saranno Luca e Asia, laureato in Filosofia lui e studentessa di Medicina lei, entrambi determinati a occuparsi di agricoltura di montagna nella bellissima borgata Lausè; Stefano, castanicoltore, che insieme a suo padre ha recuperato antichi castagneti sui Colli di Moiola; Clara, che alla ricerca del posto giusto dove vivere si è innamorata di una piccola borgata sopra Demonte, dove da alcuni anni coltiva orticole e piccoli frutti cercando di recuperare terreni non in uso da anni: i suoi cavalli e le sue pecore pascolando tengono puliti prati e sottoboschi. Ci saranno anche Fabio e Clara, giovane coppia della Valle, lui malgaro da generazioni, lei laureata in Scienze ambientali con la passione per gli animali e la natura: hanno appena iniziato la loro attività insieme, allevano vacche piemontesi e pecore sambucane; Mattia, 25 anni, che alleva pecore sambucane e che passerà l’estate in alpeggio a Gardoun a governare il suo gregge e quello di diversi altri giovani allevatori come lui; ci sarà Simone, 23 anni, che ha rilevato l’azienda agricola dei nonni, e insieme allevano vacche piemontesi: «la passione che ho sin da piccolo per questi animali, stare all’aria aperta e in alpeggio sono una cosa impagabile, ecco perché faccio questo lavoro». Ci saranno Andrea G. e Daniele di Pontebernardo, allevatori di pecore sambucane: il primo si è trasferito da Fossano in alta valle in cerca di una vita a contatto con la natura. Daniele invece è cresciuto in una famiglia di pastori, e non ha mai immaginato la sua vita diversamente. E ci sarà Andrea B., che alla domanda «ti piace il lavoro che fai?» ha risposto, con estrema sincerità, «se non mi piacesse non potrei farlo!»
Quindici volti che ci restituiscono vite fatte di sacrifici, tanti, di responsabilità e difficoltà, di determinazione, di soddisfazione, ma soprattutto di tanta, tanta passione per il proprio mestiere e per il territorio.
Nella pubblicazione La Routo. Sulle vie della transumanza tra le Alpi e il mare, la cui ricerca etnografica condotta da Guillaume Lebaudy, sotto la direzione dell’antropologo Dionigi Albera, è anche alla base del percorso che ha portato alla nascita dell’Ecomuseo della pastorizia nei primi anni 2000, è contenuta una frase emblematica, tratta dall’intervista a Jean Solda, pastore transumante nato agli inizi del ‘900, che dice: «Essere pastore è un mestiere, una passione, una vocazione». Questa frase è molto rappresentativa di tutte le storie che abbiamo raccolto in queste settimane di fotografie lungo la Valle Stura, con alcune piccole aggiunte: non solo essere pastore, ma anche essere agricoltore, apicoltore, castanicoltore, allevatore… scelte di vita ben precise, che, se non guidate da totale dedizione, consapevolezza e coraggio non sarebbe possibile portare avanti.
Per realizzare la mostra fotografica sono state scattate due tipologie di foto per ogni persona coinvolta, rigorosamente a colori: un ritratto, che diventerà un manifesto pubblicitario 70x100 cm e verrà disseminato nei paesi della Valle Stura per richiamare l’attenzione del pubblico e per invitare a recarsi all’Ecomuseo dove sarà esposta la seconda tipologia di foto, che ritrae i soggetti nel proprio contesto lavorativo. Gli scatti vogliono mostrare che la montagna è viva e abitata da persone, da giovani con tanta voglia di mettersi in gioco per riscoprire e innovare antichi mestieri, e che, oggi più che mai, può essere un luogo in cui si ritorna o si resta in modo consapevole, un luogo dove sperimentare filiere corte e produzioni tipiche e modelli di sviluppo micro-economico sostenibili e duraturi, che generano un indotto economico sul territorio e quindi un alto impatto sociale.

testo di Miriam Rubeis
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